Storia del Punk

A metà degli anni Settanta nasceva lo strardinario fenomeno di ribellione, provocazione contro la società, la borghesia, il sistema. Una raccolta in edicola con Repubblica celebra i nomi e i dischi che hanno cambiato la cultura popolare. A cominciare dai Sex Pistols col loro “Never mind the Bollocks”

SONO passati quarant’anni dall’esplosione del punk in Inghilterra e negli Usa. Quarant’anni nei quali la musica è cambiata moltissimo e, per molti versi, è anche tornata indietro. Ci sarebbe bisogno di nuovo di una nuova esplosione come quella avvenuta alla metà degli anni Settanta del Novecento, uno straordinario fenomeno di ribellione, di provocazione, contro la società, la borghesia, il “sistema”. Una ribellione in nome del rock che, all’epoca, provocò uno scossone clamoroso nella cultura, nella moda, nella comunicazione e soprattutto nella musica.

A quarant’anni dalla nascita del punk, arriva in edicola una raccolta per ascoltare a tutto volume le band che ne hanno fatto la storia: dai Sex Pistols ai Ramones, dagli Stooges ai CCCP, dai Blink 182 ai New York Dolls. Dal 6 settembre ogni martedì in edicola con Repubblica a euro 8,90 (oltre il prezzo del giornale). Con una novità: le prime due uscite saranno anche in vinile: Never Mind the Bollocks dei Sex Pistols e Ramones. 

Le prime avvisaglie del punk si registrano in un mercato discografico in fase di intenso riflusso attorno al 1975, mentre il rock va perdendo la componente vitale e ribelle. Archiviata l’epoca della controcultura hippy, la disco music si appresta, infatti, a conquistare con il suo innocuo invito al ballo ampie fasce di pubblico di tutte le età, mentre il rock progressivo di band come Yes, Genesis, Emerson, Lake & Palmer raggiunge alti livelli di autocompiacimento e sembra aver sacrificato la via del rock per una ricerca formale più prossima alla musica colta.

Nelle classifiche commerciali mondiali domina il cosiddetto pop transnazionale (pop), confezionato per raggiungere un pubblico quanto più esteso. I ragazzi, che con le loro famiglie vengono travolti dalla crisi economica, dalla disoccupazione, non vedono davanti a loro alcun futuro e non si riconoscono più in quella musica, fatta per le radio da artisti multimilionari che con il rock e la vita hanno poco a che fare.E’ qui che nasce il punk, tra le strade secondarie di Londra e New York, come movimento di rottura nei confronti del perbenismo musicale, insofferente ai meccanismi e alla disciplina della vita quotidiana e refrattario alle politiche conservatrici. Il gusto della provocazione, l’oltraggio alla decenza pubblica, la ricerca di un’estetica scioccante nell’abbigliamento e nelle acconciature ottengono come risposta la riprovazione della società benpensante. Inizialmente respinto dalle multinazionali discografiche (ma poi commercializzato alle prime avvisaglie di successo), il punk adotta la strategia dell’autoproduzione e dell’autopromozione, creando un mercato svincolato dalle logiche dell’industria musicale.

Negli Stati Uniti la scena è eterogenea, come attesta l’affollata comunità della musica d’avanguardia newyorkese tra il 1975 e il 1977. Patti Smith, poetessa, erede punk della tradizione del Greenwich Village che fece grande Bob Dylan, esordisce con Horses (1975) mentre i Ramones rinverdiscono nel 1977 i fasti delle garage bands con un’iniezione di velocità e di rabbia.

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